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Cronaca
Addio, Dieguito
di Mimmo Carratelli
(da: Roma del 26.11.2020)
Addio, Dieguito, addio.
Arriva a Napoli che è sera la notizia che mai avremmo voluto che arrivasse. Un attacco cardiaco fatale, laggiù a Buenos Aires. Napoli, “seconda mamma mia”, deserta per il lockdown, ha rinserrato il cuore in un dolore improvviso e profondo, appiattita dolorosamente sui notiziari delle radio e delle televisioni, chiusa nella solitudine della quarantena che ha reso più buia e opprimente l’ora triste della notizia estrema.

Quanto tempo ha lottato Diego contro il muro nero della morte negli anni strazianti della droga che gli divorava il fisico e gli annebbiava la testa?

Quanto è stato forte a riprendersi, lottando come un leone, contro il vizio della perdizione? Li ricordo quei due giorni drammatici a Punta del Est nel gennaio 2000 e a Buenos Aires nel 2007 quando Diego si presentò al cospetto del Barba, come lui avrebbe raccontato, e il Barba gli disse che non era venuto il momento. Mai così vicino alla morte, Dieguito.

Stavolta il Barba non ha detto nulla forse perché ha visto le ultime sofferenze di Diego, il cerchio opprimente della sua solitudine, l’alcol come unico amico subdolo, il ricordo del passato un macigno sul cuore.

Che cosa ne sappiamo veramente di Diego dietro le ultime apparizioni? Col suo carattere irriducibile ha finto una vita normale aggrappandosi al calcio, allenatore di una piccola squadra di La Pata, per sentirsi ancora uno del suo mondo, un lieve appiglio, ma era un mondo perduto, una gioia contraffatta.

Anche le sue ultime smargiassate erano ormai pura finzione. Non le reggeva più il suo carattere vivo e ribelle, forte e imbattibile. Quel carattere non c’era più. Non poteva esserci più, fiaccato dall’antica dipendenza assassina, dal tempo inesorabile, da un cuore duramente martellato.

Sono state interpretazioni stanche di un attore svuotato che non ha mai ammesso la resa, la sconfitta, la fine di una storia grandissima, ma sapeva di averla dentro questa sconfitta sotto il peso di un fisico troppo provato dalla sua ansia estrema di vivere nell’inganno di una eccitazione artificiale. Rinnegata la compagna bianca dei tempi di una fittizia grandezza, Diego ha perduto l’unico maledetto sostegno dei suoi giorni di malinconia e depressione.

La fine è cominciata che era l’inizio di questo mese. Per una banale caduta e un coagulo di sangue formatosi nella testa, operato d’urgenza. Il dottore Leopoldo Luque, fedele amico e neurologo che l’ha sempre tento in cura. La clinica Olivos a Buenos Aires.

Uno stupido, dannato incidente domestico col rischio di lasciarci la vita. Ma Diego superava l’ennesima prova col suo carattere indomabile. Sorpresi i medici della sua ripresa. E noi avevamo sperato che ancora una volta ce l’avrebbe fatta. Cinque giorni prima aveva festeggiato i suoi 60 anni senza le luci sgargianti dei suoi anni di gloria.

Il leone che Diego era stato, abbattuto come una casalinga sfortunata, come un pensionato che inciampa in casa. Forse, il leone era stordito da troppi medicinali. Forse per questo aveva vacillato ed era caduto. Ma, che importa, l’operazione era andata bene. Se l’era cavata ribellandosi al suo destino segnato.

Es muy dificil ser Maradona” ha scritto qualcuno. Difficile è stato essere Maradona. Caro, carissimo Diego. Solo ventisei giorni fa ci eravamo commossi per il tuo compleanno di sessantenne. Solo ventisei giorni fa avevamo ripreso a raccontare i ricordi di una vita generosa, sfacciata, ribelle, leale, i ricordi soprattutto di Napoli dove sei stato Sangennarmando, la gioia e la felicità che esprimeva il tuo gioco, i tuoi riccioli da scugnizzo, la rabona, i gol impossibili.

Eravamo una città ancora con le macerie del terremoto, una città sempre nella morsa della criminalità e il terrorismo, una città grigia e nera, processata senza pietà da tutti. Il tuo arrivo, da quel primo pallone calciato verso il cielo di Fuorigrotta, quel tardo pomeriggio di luglio, fu il coriandolo di una gioia improvvisa. “Buonasera, napolitani”.

Più di tutti ti capì Mimì Rea: “Maradona è l’idolo di migliaia di ragazzi napoletani forse perché è un ragazzo come loro, piccolo come loro ed è stato povero come la maggior parte di loro. La faccia di Maradona la definirei un pianeta, il pianeta della miseria. Vi si legge un benessere recente, di recente si è rassodata, i capelli sono da poco cresciuti alla moda.
Ma è una faccia in cui le ombre, le rabbie, le privazioni di un passato povero palpitano ancora sotto tutti quei riccioli neri, un’abbondanza nuova anche questa. Il ragazzo povero portava capelli corti da ragazzo povero di Buenos Aires. Questa faccia di Maradona da pianeta della miseria ha conquistato i napoletani prima del suo colpo di tacco. Questo è un virtuosismo, quella è una storia che i napoletani conoscono benissimo
”.

E così diventasti Dieguito, uno di noi, e qualcuno al San Paolo srotolò lo striscione lungo venti metri con su scritto: “Nel cielo di Napoli ci sono tante stelle, Maradona è la più splendente”. Era nato un amore. E in sette anni ti abbiamo accompagnato in ogni momento della tua vita, il virtuoso dei campi di calcio, il vizioso delle notti bianche, le feste e le cadute. E cantavamo ‘o surdato ‘nnammurato, e cantavamo o mama, mama, mama, sai perché mi batte il corazon, e stabilimmo definitivamente che Maradona è meglio ‘e Pelè. E Valdano aggiunse: “Invidio a Diego la capacità di dare gioia ai bambini”.

Sette anni qui a Napoli, ma tutta una vita vissuta insieme, più lontano stavi più vicino ti sentivamo, più vicini stavamo nei tuoi giorni più duri, nei giorni delle ingiustizie, degli arresti spettacolari, della carognata di Usa 1994, e le apparizioni da Fidel Castro, la tua disperazione, la solitudine e quella confessione alla tv argentina, la confessione della droga che ci strappò il cuore, ma ammirammo il tuo coraggio, la tua lealtà, la sincerità di cui sei stato sempre un campione.

Non ci siamo mai lasciati perché tu avevi cantato “Napoli, seconda mamma mia”. Avresti meritato una vita pienamente felice. Ma eri uno Scorpione, segno di vita e di morte, dominato da Plutone padrone del mondo sommerso, aizzato da Marte e sfiorato da Nettuno, pianeta infausto. Troppo grande è stato il tuo talento, troppa la fortuna, troppo il successo, troppo generoso il tuo cuore per non pagare tutto. Gli dei sono invidiosi.

Se ne è andato il tuo sorriso di ragazzo, così vogliamo ricordarti, il sorriso dei giorni più felici a Napoli. La favola si chiude. Metto insieme queste parole con una tristezza infinita perché sai il bene che ti abbiamo voluto e che non è bastato per trattenerti tra noi, per sottrarti alle notti disperate nella tua casa di via Scipione Capece sulla collina di Posillipo quando la droga diventava la tua padrona assoluta.

Ti abbiamo voluto bene perché sei stato un uomo con le cose buone di ogni uomo e con quelle cattive, un uomo vero che non si è mai nascosto, che non ha mai fatto male ad alcuno tranne che a se stesso.

Riposa in pace, Diego. La tua solitudine è finita. La tua sofferenza è finita. La tua gloria sarà perpetua. Il Barba è con te. Tutto il mondo è con te, Dieguito.

25/11/2020
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