Calcio
Ferlaino, un giorno particolare
di Mimmo Carratelli (da: Roma del 18.01.2019)
Corrado Ferlaino, l’Ingegnere, è stato per 33 anni, un mese e 12 giorni, il mio tormento e la mia estasi, un matrimonio tormentato ma divertente sull’altare del Napoli, un presidente azzurro che per catturarlo più di cinque minuti per una intervista avrei dovuto legarlo a una sedia come lui fece un giorno con sua nonna per tingerle i capelli di nero perché non voleva avere una nonna vecchia con i capelli bianchi.

UN REGNO DI 33 ANNI
Trentatre anni, un mese e dodici giorni sono stati tanti da passare dalla diffidenza alla confidenza, da un odio superficiale a un affetto dichiarato, dai saluti occasionali agli abbracci. Insomma, alla fine, ci siamo voluti bene, ce ne vogliamo ancora.

Per l’Ingegnere ho scritto una biografia romanzata, “Ferlaino sceicco di Napoli. Palazzi, amori e scudetti”, edito dalla Compagnia dei Trovatori di Piero Antonio Toma. Per correttezza gliela feci leggere prima di pubblicarla. Corresse qualche imprecisione, aggiunse aneddoti e curiosità inedite, mi disse addirittura che era “perfetta”, una sola cosa non andava. Gli chiesi quale. E l’Ingegnere rispose: “Non va il fatto che lei mi chiama bugiardo”. Diavolo di un uomo, bugiardo più che mai.

Riprendo qualcosa di quella biografia per ricordare questo 18 gennaio di cinquant’anni fa quando divenne presidente. Abitava a Villa Gallotti, una casa sul mare di Posillipo, con tracce della sua vita già avventurosa a 38 anni.

Verso le sei del pomeriggio del 18 gennaio 1969, un sabato, il telefono squillò a Villa Gallotti. “Buonasera, presidente”. Era la voce istituzionale del telefonista del Napoli, Mario Parente. Corrado Ferlaino rispose semplicemente “buonasera” e riattaccò.

ELETTO PRESIDENTE
Alla riunione del consiglio di amministrazione del Napoli, che lui aveva disertato per eleganza e per prudenza, lo avevano eletto alla presidenza della società azzurra in un tumulto di emozioni, assente fisicamente Lauro ma presente in spirito e nella persona dell’avvocato Paolo Diamante, sdegnato dimissionario Fiore dalla carica di amministratore delegato, contrario a tutti e per tutto il celebre ragioniere Peppino Magnacca, maestro del colore in Piazza Mercato con negozio di vendita di vernici, smalti e carte da parati.

Favorevoli alla nuova presidenza due transfughi del gruppo Fiore, Pino Tucci e Sasà De Caro. Un trionfo per Ferlaino con la benedizione di Lauro e l’astensione di Fiore, mentre era già in atto l’accordo per la cessione delle azioni di Robertino all’Ingegnere che aveva versato un anticipo di 35 milioni sui 185 pattuiti a totale saldo.

L’affare del secolo? In cifre, l’ingresso nel Napoli costò a Ferlaino 265 milioni di lire con l’acquisizione del 51 per cento delle azioni che ne valevano nominalmente meno della quarta parte. Lauro rimase col suo 40 per cento, soci vari mantennero il 9 per cento.

LAURO E FIORE
L’armatore dissotterrò immediatamente l’ascia di guerra perché ‘o guaglione che non era fesso lo aveva fatto fesso.
Chisto è pazzo – dichiarò pubblicamente, smozzicando ancora di più le parole per l’ira. – È una buffonata, è una pazzia, ma vi sembra possibile che un uomo spenda 265 milioni per impadronirsi di un pacchetto di azioni che ne vale appena 59? Il Napoli non può avere padroni, l’ultimo sono stato io e ho dovuto mollare, nessuno può essere il padrone del Napoli, il padrone è il pubblico”.

La fantastica filippica fu rilanciata dai i giornali. Ferlaino non avrebbe avuto vita facile. Tra ‘o Comandante e ‘o guaglione lotta continua, lotta immediata.

E così mi trovo nel mezzo di una guerra – racconta Ferlaino. – Mi attaccano tutti. Lauro e Fiore. Il Comandante si è già pentito d’avermi fatto presidente. Mi abbono all’Eco della stampa e mi arrivano i ritagli dei giornali. Tutti contro di me. Disdico l’abbonamento. Vado avanti e sono sicuro di durare a lungo. Intanto, chiedo il bilancio del Napoli e la consegna dei documenti. Vado a un consiglio di amministrazione e non si presenta nessuno. Restiamo in due: io e il tavolo delle riunioni. Lauro reclama il suo credito, 430 milioni, e quello del figlio, 168 milioni. Noccioline in confronto al miliardo e 800 milioni del deficit della società. In cassa, neanche una lira. Stipendi arretrati da pagare ai giocatori. Scadenze urgenti: 15 milioni di tasse comunali. Si presentano gli ufficiali giudiziari. Non c’è granché da pignorare. Si prendono qualche mobile. Mio padre mi aiuta a tacitare l’Esattoria comunale alla quale verso i 15 milioni. Mi aiuta a pagare gli arretrati a giocatori, allenatore e impiegati per 300 milioni di lire. In quale pasticcio ti sei messo?, mi chiede”.

Prima di cedere all’angoscia, subito fuori di mezzo miliardo per prendersi il Napoli, Ferlaino non rinuncia al Carnevale di Rio. Parte per il Brasile. Al ritorno, ci sono battibecchi tra Lauro e Ferlaino. Dopo l’elezione a presidente, l’Ingegnere fu invitato a colazione da Lauro. Tentativi di pace e collaborazione. Ferlaino promette al Comandante il pagamento del suo credito. Il Comandante gli concede per cinque anni la delega delle proprie azioni (l’Ingegnere non era ancora in possesso di quelle di Fiore) in modo che avesse la maggioranza in assemblea. Improvvisamente due innamorati.

VIA ARCOLEO
I giornali riferirono che si impegnarono addirittura, in caso di morte di uno dei due, a cedere le azioni al sopravvivente. “Furbo tu - disse il Comandante - che sei giovane e io ho 82 anni”. Per confortarlo, Ferlaino replicò: “Ma io corro in automobile e guido l’aereo”.

Padre calabrese, di Nicastro, trasferitosi a Napoli, grand’uomo e grande costruttore l’ingegnere Modesto Ferlaino, e madre milanese, Cesarina Pasquali, ebbero la prima abitazione in via Giorgio Arcoleo dove Corrado è nato e fu un rampollo coccolato e col danaro in tasca. Infatuato di Federico II, “un tedesco cresciuto in Sicilia che amava il mondo arabo”. Forse voleva somigliargli un po’. Ride e dice: “Ma io non sono biondo”. Chissà se lo era Federico II. Ammiratore di Carlo III, “quello della fabbrica delle porcellane a Capodimonte”.

Arabo e un po’ borbonico? Si agita. “Purtroppo i Borbone portano jella, sono perdenti”. E tocca ferro. Tuttavia, un anno fece stampare lo stemma di Ferdinando II sulla copertina degli abbonamenti al Calcio Napoli. Nel suo studio ha i calchi in bronzo di Ferdinando e di Maria Carolina. “Non è nostalgia dei Borbone, ma amore per Napoli e la sua storia. Tengo il busto di Ferdinando anche se ha perso la guerra e a me non piace perdere”.

Un busto a perenne ricordo, nello studio dell’Ingegnere, lo meriterebbe Carlo Iuliano, fedelissimo nei secoli al Presidente, brillante ufficio stampa del Calcio Napoli nella buona e nella cattiva sorte, amico di Maradona e personaggio unico per affabilità e capacità organizzative, dispensatore abile di accrediti, sorrisi e dinieghi, per oltre trent’anni nelle stanze delle varie sedi azzurre, da via Chiatamone a Soccavo.

UN TORNADO AL GALLIA
La prima apparizione dell’Ingegnere al “Gallia” sconvolse un mondo di protagonisti imbalsamati nelle loro glorie e leggende e in un noioso gioco delle parti, tutti presenti l’ultimo giorno del calciomercato, un’ora prima della mezzanotte, per lo spettacolo finale sotto la luce degli spot e davanti alle telecamere. Era il momento culminante di due settimane di trattative, trucchi, raggiri, falsi acquisti, proposte indecenti con la suspense e l’attesa del “botto”, l’acquisto sensazionale e finale per il titolo a nove colonne sui giornali sportivi.

Contribuivano alla messinscena presidenti di vecchio e nuovo conio, allenatori-patriarchi, tecnici rampanti, procuratori di conclamata competenza e apprendisti mediatori, dirigenti esagitati e playboy, calciatori in cerca di un ingaggio in extremis e il popolarissimo Jimmy il Fenomeno, comparsa di Cinecittà, guercio ed elettrico, che si appiccicava ai “ricchi scemi” per cavarne mance e un “passaggio” nei telegiornali.

Nel gioco del Monopoli dal vivo l’Ingegnere era un asso. Tormentava gli interlocutori, ma anche se stesso, sempre dubbioso, sempre in ansia. Non si disperò l’elegantissimo Bruno Passalacqua, general manager del Milan, dopo che ottenne da Ferlaino la promessa di avere Juliano per 800 milioni e, il giorno dopo, l’Ingegnere gli disse che gli avrebbe ceduto il giocatore ma per un miliardo. Passalacqua gli dette del “buffone”, che Ferlaino accolse come una carezza di benvenuto in quel mondo di furbi e non come un insulto.

Un’altra volta, Walter Crociani, mediatore romano di giocatori, gli dette (o stava per dargli?) un pugno sotto gli occhi esterrefatti del presidente del Verona Garonzi quando Ferlaino strappò il contratto già firmato per prendere Clerici.

OTTO EPOCHE
Sul lungo regno azzurro di Ferlaino si possono identificare otto storiche epoche.
La prima, dal 1969 al 1973, è l’età della rivoluzione arancione. Comprende la presa della Bastiglia laurina, l’ingresso e l’assestamento nel mondo del calcio, lo smarrimento momentaneo per i debiti del Napoli, nessuna promessa di miracoli e scudetti, la comunione di intenti con Beppone Chiappella, allenatore brontolone ma mite.

Un tentativo di scudetto sfuma a Milano. Un terzo posto è la prima margherita all’occhiello. L’Ingegnere è appena arrivato e, dopo quattro anni, molla. Dimissioni a dispetto. Per dodici mesi sull’Aventino, padrone in cagnesco. Affida la presidenza all’ingegnere Ettore Sacchi promettendogliela per tre anni, ma gliela riprende dopo otto mesi. Intanto, cede Zoff e Altafini alla Juventus. Montano le proteste e nasce il disamore.

Un momento – vuole precisare l’Ingegnere. – Non sono stato io a cedere Altafini alla Juventus. Lo cedette Sacchi che era pressato dal giocatore e dalla stampa. Perciò litigai con Sacchi e gli tolsi la presidenza”.

La seconda epoca, dal 1973 al 1980, è l’età del ferro da battere finché è caldo. Si distingue per la rivoluzione copernicana del gioco del calcio operata da Vinicio con una apparizione di emergenza del “petisso” Pesaola e una apparizione fugace del ragazzo di Mergellina Gianni Di Marzio.

Un altro miraggio di scudetto e la gardenia di un secondo posto all’occhiello. Sfuma l’acquisto epocale di Paolo Rossi. Si oppone vigorosamente al trasferimento miliardario del giocatore a Napoli il sindaco comunista Maurizio Valenzi.

Si realizza l’acquisto sensazionale di Beppe-gol Savoldi alla cifra-record di due miliardi di lire che disturba il Nord benpensante dal quale giunge l’invito a togliere la munnezza da Piazza Municipio anziché sperperare soldi nel calcio.

La terza epoca, dal 1980 al 1982, è l’età breve. È un’epoca passeggera con la terza illusione di un irraggiungibile scudetto, la presenza gentile dell’allenatore Rino Marchesi, il fascino del difensore olandese Ruud Krol che ha il passo elegante di un indossatore dal “San Paolo” alla “Mela”, il ritrovo notturno in via dei Mille. L’Ingegnere si assicura l’acquisto dei piedi più piccoli della serie A, quelli di Massimo Palanca che calza il 36 ed è perciò definito piedino di fata.

IL PIPER SULLO STADIO
La quarta epoca, dal 1982 al 1985, è l’età del bronzo e delle facce di bronzo. Scuotono il regno di Corradino le tempeste di due salvezze risicate, prima Pesaola e poi Marchesi al capezzale azzurro. Un Piper sorvola lo stadio invocando la cacciata dell’Ingegnere e il ritorno di Juliano dopo il divorzio fra i due per incompatibilità di carattere.

Scoppiano bombe di minaccia davanti all’abitazione presidenziale. Corrado annuncia e attua le seconde dimissioni. Non si dimette mai veramente. Affida il Napoli a Marino Brancaccio, persona squisita e ingenua, che viene disarcionato dopo cinque mesi. L’Ingegnere torna in sella. Intanto, spunta all’orizzonte il fiammeggiante Diego Armando Maradona.

Deliri e tammurriate fra Napoli e Barcellona. Juliano gran testardo vuole il fuoriclasse a tutti i costi. Il costo del supremo giocatore è pari a 14 miliardi di lire. Bonifici, telex, trucchi, trucchetti e poi il volo rapido dell’Ingegnere con aereo personale dall’Italia alla Spagna per concludere la trattativa. Nascono, a Napoli, figli che si chiamano Diego. Gran lavoro di barbieri e parrucchieri per acconciare le teste dei ragazzi napoletani a immagine e somiglianza della fronda di riccioli irresistibili del pibe.

L’ETA’ DELL’ORO
La quinta epoca, dal 1985 al 1991, è l’età dell’oro. Si eleva alla gloria delle vittorie storiche, due scudetti che fanno vibrare il “San Paolo”. Italo Allodi costruisce il Napoli campione d’Italia. Compare Moggi al completo di sigari e telefonini.

A Ferlaino spunta una lacrima sul viso e gli si apre un immenso vuoto di bilancio perché gli scudetti costano quattro volte quello che si incassa e non ci sono ancora i diritti televisivi a fare polpa.

La sesta epoca, dal 1991 al 1994, è l’età del salice piangente. Si registra l’addio del piede sinistro dei nostri cuori. Orgoglioso colpo di coda dell’Ingegnere per conquistare uno scudetto senza Maradona, ma con l’acquisto di Fonseca sconquassa definitivamente le casse sociali.

Per la verità io e Franco Ambrosio, l’imprenditore del grano, comprammo tutto il Cagliari – dice Ferlaino. – In incognito per la mia parte. Era vietato possedere due club di calcio. Aiutando il Cagliari, ebbi uno sconto sul prezzo di Fonseca, otto miliardi e 400 milioni anziché diciotto miliardi”.

Bamboli non c’è più una lira e i debiti raggiungono altezze vertiginose. “L’economia era ferma – puntualizza Ferlaino. – Non avevo più disponibilità di danaro. Dopo l’intralcio con Tangentopoli, le banche mi chiedevano di rientrare nelle mie esposizioni”.

Si esibisce il fine dicitore francese della difesa Laurent Blanc. Passa e se ne va Marcello Lippi. Passa la mano l’Ingegnere nei tempi sempre più cupi lasciando il Napoli al vecchio Ellenio Gallo. Invocato dal duce federale Matarrese e dal sindaco di tutti i napoletani Bassolino, mentre la piazza è incerta, l’Ingegnere torna, ma siamo quasi al requiem.

La settima epoca, dal 1994 al 1997, è l’età della pietra e di pietre scagliate da chi è con molti peccati. È segnata dal principio della fine, dalla nostalgia per il pibe perduto, dalla confusione irrimediabile, da una salvezza, la terza, a sei giornate dalla fine del campionato, garantita in punta di piedi dal tranquillo Simoni, da addii e ripensamenti, dall’impareggiabile Vujadin Boskov che recita massime memorabili a Soccavo.

LA FINE DEL REGNO
L’ottava e ultima epoca, dal 1997 al 2002, è l’età dei crisantemi. Fissa il dissolvimento del regno, l’abbandono di tutte le riscosse, la mancanza di tutte le risorse, il caos, la rumba di quattro allenatori, l’apparizione di Calimero Corbelli, il patimento della prima e della seconda retrocessione di Corradino.

Passeggera riscossa con Walter Novellino, allenatore di Montemarano, con i gol di Stefan Schwoch, una specie di Buffalo Bill di Bolzano. Un nubifragio devasta il “San Paolo” ed esilia il Napoli a giocare lungamente in periferia.

È la fine, preceduta dall’apparizione di Zeman poi sostituito con Mondonico, uomo di fiume refrattario al mare che realizza la seconda discesa all’inferno. Viene ingaggiato Edmundo, re del Carnevale di Rio e calciatore occasionale, ultimo coriandolo del carnevale napoletano.

L’Ingegnere precisa: “Edmundo lo volle Corbelli, consigliato non so da chi. Lui stava a sentire Moggi che gli proponeva autentici bidoni. Uno fu Sesa. Poi Pacheco che pare non avesse la milza o qualcosa del genere, insomma il fegato gli funzionava male”.

Corrado esce dal Napoli il 14 febbraio 2002 ed entra Toto Naldi, cavaliere equestre che sarà disarcionato da un ciuccio con le orecchie ormai abbassate. Il resto è cronaca di questi ultimi anni.



18/1/2019
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