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La griglia di piazza del Plebiscito
di Ernesto Mazzetti (da: Il Mattino del 09.11.2018)
La griglia grattata. O la grata grigliata. Intendo, ovviamente, quella prima prevista e poi negata, da collocare in piazza del Plebiscito per dare aria agli ipogei ove scorrerà (?) la linea metro 6.

Se ne parla, ci si accalora. E più ne apprendo più sono spinto ad una ragionata conclusione. Che è una vera baggianata negare l’apertura di siffatta griglia, come in settimana è stato imposto da un ukase ministeriale.

Nello spazio ove Comune e tecnici della metro prevedono la griglia, nei lontani anni in cui si progettò la «tranvia veloce Fuorigrotta-Centro», trasformata poi nell’odierna «linea 6», avrebbe dovuto spuntar fuori una stazione.

Progetto approvato allora da tutte le parti in causa, Comune, soprintendenze, ministeri e chi più ne ha,più ne metta.

Naufragò la tranvia, insieme a tante opere connesse ai fatidici Mondiali calcistici, nelle melme di tangentopoli anni 90 in versione partenopea.

Ma il buco, ancorché ricoperto, rimase e si collega tuttora al resto delle cavità ove transiteranno i treni.

Onde, cambiati gli uomini, non le istituzioni, i medesimi uffici che approvarono 30 anni fa la stazione hanno accolto in tempi recenti la proposta dalla società costruttrice di utilizzare quella porzione di tunnel non più per una stazione, ma come spazio sommerso ne sfogo d’aria a servizio della linea sotterranea. Protetto da griglia metallica.

Sennonché appena recintata l’area in cui operare sono scesi in campo il professor Tomaso Montanari e il dottor Guido Donatone. Non di celebrità universale, ma comunque noti.

Montanari è un ancor giovane quanto operoso docente di storia dell’arte barocca. Ha insegnato a Napoli, prima di trasferirsi di recente a Siena. Scrive con fervore di tutela di monumenti e paesaggio.

Deluso dai partiti di sinistra ha provato, con esisto modesto, a fondarne un altro, più a sinistra di quel che resta del Pd e del quasi estinto Leu.

È gradito comunque ai pentastellati; lo volevano perfino ministro. La sua biografia menziona che il presidente Napolitano lo nominò commendatore (con due m, com’è giusto, quasi a risarcirlo del nome Tomaso che, chissà perché, di “m” ne ha una sola).

Ben più noto a Napoli è Donatone: già funzionario del soppresso Isveimer, ha dedicato la vita a due passioni, la storia delle ceramiche e Italia Nostra.

Dalla prima ha tratto apprezzabili volumi. Dalla seconda la carica di presidente della sezione cittadina. Credo a vita, quasi contropartita dal non esservi mai assurto a ruoli nazionali.

Non saprei chi per primo abbia telefonato all’altro: pronti comunque entrambi nel gridare al sacrilegio ai danni della piazza.

«Scelta scellerata» ha tuonato Donatone. bInconsapevole «del valore civile del patrimonio culturale» – ha argomentato Montanari – il Comune è «schiavo di un’idea sviluppista» dibmentalità liberista. Hanno fatto coro intellettuali d’ambo i sessi e di svariate sigle.

Il soprintendente Garella, ritenuto incauto firmatario, è stato costretto a ritirare l’assenso rilasciato in primavera. Vani i supplementi di dati e cartogrammi forniti da Comune e progettisti.

Il direttore del Mibac, Gino Famiglietti, ha detto no. Niente grata in piazza del Plebiscito. Se la metro ha bisogno d’aria, la vada a respirare nella contigua piazza Carolina, zigzagando nel sottosuolo, per evitare le fondamenta della basilica e della prefettura.

Anche spendendo 8 milioni in più ed impiegando altri due anni. Anche mettendo a rischio la sicurezza di uffici prefettizi e la circolazione stradale nella zona tra il Corso e San Ferdinando.

Anche rischiando di restituire centinaia di milioni di finanziamenti europei. Purché non prevalga una «mentalità sviluppista»!

Squisitamente giuridiche le motivazioni ministeriali, in quanto formulate dal direttore Gino Famiglietti ch’è appunto dotto giurista; peraltro frequentatore di convegni a fianco di Montanari.

Motiva il diniego per «vizi funzionali», «vizi di legittimità». Non scrive di «scelte scellerate» e danni culturali. Burocrazia, insomma, non estetica.

D’altronde, lo sconfessato soprintendente Garella aveva pur chiarito che per far posto alla grata si sacrificavano solo pietre che avevano sostituito precedenti asfalti.

Quanto all’impatto visivo se ne può trarre esempio recandosi in viaVerdi, di fronte al palazzo del Comune. Sull’ampio marciapiede insiste una grata di circa quattro metri per lato, superficie quasi pari a quella prevista in piazza Plebiscito.

La contempli il lettore, come anch’io ho fatto: e giudichi se possa davvero incidere sulla fisionomia d’una area molto più estesa. O se, il vietarla non equivalga a mettere ancora le mani sulla nostra città, infliggendole nuove traversie per cantieri sempre aperti, spese ingenti, ritardi nella predisposizione di trasporti essenziali.

Queste, si, scelte scellerate.
10/12/2018
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