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La condanna del buio e il riscatto del Plebiscito
di Vittorio Del Tufo (da: il Mattino del 12.05.2018)
In una città troppo piena, c’è anche la bellezza del vuoto. Il metafisico vuoto del Plebiscito, con la sua platea sterminata, esprime, qui più che altrove, la bellezza senza tempo di una città anfiteatro.

Ma è una bellezza tradita, stravolta dall’incuria, trasfigurata dal buio. Un buio pesto che continua ad avvolgere - nonostante le promesse, gli impegni e il mare di parole versate - la nostra piazza più bella.

Se torniamo a parlare della piazza buia, proprio mentre si riaffacciano i progetti di risistemazione degli ipogei, è perché crediamo che l’illuminazione del Plebiscito - un pozzo nero di notte - sia la precondizione di ogni recupero, di ogni rilancio, di ogni progetto di riqualificazione.

Non vogliamo dire che il resto siano chiacchiere, anzi apprezziamo gli sforzi, sia pur tardivi, che sono stati messi in campo dall’amministrazione e dalla sovrintendenza per il rilancio del colonnato di San Francesco di Paola e dei sotterranei della chiesa; tuttavia la sola illuminazione notturna del colonnato non basta a renderla ospitale, a riconnetterla con il corpo vivo della città.

Paradossalmente, quella illuminazione parziale isola ancora di più il piazzale antistante l’emiciclo della chiesa. È l’intero corpo della piazza, soprattutto di notte, che deve essere sottratto all’oscurità. Affinché il luogo simbolo della città possa tornare a essere, innanzitutto, un luogo sicuro.

Negli ultimi anni in città si è sviluppato un vivace dibattito tra quanti sostengono che la piazza debba restare vuota, immobile, silente, che nessun arredo vi si debba apportare, che nessun intervento vi si debba realizzare: archistar, vade retro; e quanti affermano invece che una piazza imbalsamata e chiusa a chiave non renda giustizia alla sua straordinaria armonia.

Il bel libro di Aldo Capasso, Piazza Plebiscito e la città, due secoli di storie, presentato proprio giovedì alla Feltrinelli alla presenza di Antonio Bassolino, artefice della pedonalizzazione, ha rilanciato la discussione, illustrando le ragioni degli uni e degli altri, tutte rispettabilissime.

Quel che è certo, come abbiamo detto altre volte, è che il Plebiscito può diventare il luogo principe della città che coltiva la sua vocazione più forte, quella turistica, l’agorà dove il linguaggio della modernità si incrocia con le memorie e le emozioni del passato, con la storia stessa di Napoli capitale.

Si può discutere se l’arte sia uno strumento per valorizzare la piazza (conta la qualità: una cosa è la Montagna di Sale o le capuzzelle di Rebecca Horn, altra cosa sono le renne con le lampadine o un alberello spelacchiato che il solo guardarlo induce al suicidio).

Ma illuminare la piazza - con luci artistiche, s’intende, senza circo barnum o stravaganze kitsch - dovrebbe mettere d’accordo tutti, anche i tifosi del «nulla si tocchi».

Un conto è il vuoto metafisico e nobilissimo, nel quale la chiesa di San Francesco, nata da un ex voto e da un’antica profezia, estende le due immense braccia; altra cosa è il vuoto inospitale e tetro, dove si consuma, soprattutto di notte, lo scempio della bellezza tradita.

La città continua a rimuovere il problema dell’illuminazione (e dunque della sicurezza) di piazza Plebiscito. Così come continua a rimuovere il grande scandalo della Galleria Umberto, che anni di incuria hanno trasformato in un luogo indecente, in un orinatoio, o giù di lì, per vandali e baby gang.

Dunque ben vengano i progetti di recupero degli ipogei; che avanzino, celermente, anche i bandi per l’assegnazione dei locali a ridosso del colonnato. Ma si faccia qualcosa, e al più presto, per dare un’anima al vuoto, con un progetto serio di illuminazione artistica - da selezionare mediante concorso tra architetti - che non alteri né la sobrietà né la felice armonia del luogo. Ma che, al contrario, valorizzi le geometrie degli edifici monumentali presenti nella piazza.

Anni di liti, veti e grovigli di competenze hanno finora impedito ai progetti di camminare. E un incomprensibile immobilismo ha condannato il Plebiscito a marcire nel buio. È arrivato il momento di voltare pagina. Il decoro non può essere un optional.
13/5/2018
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