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Recensioni
Selma, la strada per la libertà
di Giovanna D'Arbitrio
Il film “Selma, la strada verso la libertà” , premiato con un Oscar per la canzone Glory, porta di nuovo alla ribalta la giovane regista afroamericana, Ava DuVernay, già vincitrice al Sundance Film Festival 2012 per “Middle of nowhere” , in cui descrisse con sensibilità le sofferenze di una donna di colore, moglie di un carcerato .
In “Selma” affronta un tema molto più complesso nel raccontare con coraggio una pagina della storia americana: la lotta per i diritti civili condotta da Martin Luther King.

Siamo nel 1965 e il diritto di voto dei neri è duramente contestato, specialmente negli stati del Sud come l’Alabama, governata da bianchi razzisti. Martin Luther King (David Oyelowo) decide di organizzare una marcia di protesta da Selma a Montgomery, nonostante il parere contrario del presidente Lyndon Johnson (Tom Wilkinson) e del governatore George Wallace (Tim Roth).

Il percorso si rivela subito irto di difficoltà tra opposizioni non solo all’esterno ma anche all’interno del movimento. I neri, inoltre, subiscono duri pestaggi senza reagire, rispettando il principio della non-violenza predicato da M. L. King, grande ammiratore di Gandhi.

Saranno proprio quelle immagini violente diffuse dalla Tv a far risvegliare le coscienze dei bianchi più sensibili e a indurre anche L. Johnson a garantire il diritto al voto.

La narrazione attenta, rispettosa della verità storica, lineare e senza fronzoli, offre un’immagine diversa di M. L. King: non solo eroe e coraggioso condottiero, ma anche uomo non privo di dubbi, preoccupato per moglie e figli, abile nel dialogare con il potere, saggio alla fine nell’evitare inutili massacri. I suoi discorsi pieni di ideali, dignità e forza donano al racconto ritmo ed elevazione spirituale.

Selma è paragonabile ad una sinfonia che comincia in sordina e gradualmente s’innalza per suono e intensità in un coinvolgente “crescendo” finale. È un film che stimola riflessioni su pregiudizi e odio irrazionale, cause di abbrutimento, a cui fa da contrappunto la saggezza della non-violenza, un film che forse avrebbe meritato maggiori riconoscimenti nell’assegnazione degli Oscar 2015, una strana “Notte delle Stelle” quest’anno, costellata da gaffe e frasi “graffianti”.

Ricordiamo ad esempio quella di S. Penn che sul palco accoglie il vincitore Iñarritu dicendo “Chi ha dato la green card a questo figlio di buona donna.." e la pronta risposta del regista che nel dedicare il premio agli immigrati e al popolo messicano replica in tono ironico "magari il prossimo anno il governo cambierà le regole per l'immigrazione e i messicani come me non potranno più entrare all'Academy".

Come se non bastasse il presentatore N. P. Harris ha definito l’Oscar 2015 come “l'edizione migliore e più bianca, pardon più brillante” . Per fortuna la commovente esibizione di John Legend e Common nel cantare “Glory” ha elevato i toni della serata, anche se Legend alla fine ha affermato: "Viviamo nel paese più incarcerato del mondo. Ci sono più neri con misure cautelari oggi che neri schiavi nel 1850".

Concludendo, il tema di “Selma” ci appare più che mai attuale poiché, anche se ci sono nuove leggi, i vecchi pregiudizi sono difficili da sradicare.

1/3/2015
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