Contatta napoli.com con skype

L'esperienza umana e intellettuale
di Adriano Olivetti
di Ida Bongiorno
Ci vengono incontro con i loro volti distesi e sorridenti nell’ampio giardino del Circolo La Staffa come amici di lunga data. Sono i giovani del Rotaract Napoli Sud – Ovest, giovani di cui abbiamo avuto modo sempre più di apprezzare la vivacità e molteplicità delle iniziative unitamente alla serietà dell’ impegno.

La loro presenza, fortemente voluta dal nostro Presidente, numerosa e allo stesso tempo discreta, la partecipazione ai dibattiti, interessata e nello stesso tempo misurata, costituiscono l’esempio, senza indulgere alla retorica, di come sia possibile camminare insieme, giovani e meno giovani, donne ed uomini, contaminando e lasciandosi contaminare da competenze, esperienze e punti di vista differenti per il benessere di tutti e di ciascuno. Essere dunque comunità.

E di comunità, eticamente responsabile, in cui l’impresa in tutte le sue strategie e operazioni tiene conto delle possibili ricadute, su una pluralità di attori che in tali operazioni sono coinvolti: i dipendenti, i sindacati i giovani in cerca di lavoro, la collettività e l’ambiente, oltre naturalmente agli azionisti, si è lungamente parlato durante la conviviale del Rotary Napoli Sud Ovest di lunedì 20 ottobre attraverso la straordinaria esperienza umana intellettuale di Adriano Olivetti.

In una relazione puntuale e a tratti commossa il prof. Mauro Sciarelli, docente di Economia e Gestione delle imprese presso l’ Università Federico II, ne ha tracciato il percorso umano e professionale: l’humus culturale della prima formazione in cui svolse un ruolo importante il padre Camillo dal quale ereditò non solo la fabbrica di Ivrea ma anche molte delle idee ispiratrici per dirigerla; l’ambiente culturale del Politecnico di Torino presso il quale conseguì la laurea in ingegneria chimica; il soggiorno americano che gli permise di visitare fabbriche documentandosi a fondo sull'organizzazione del lavoro messa in pratica oltreoceano ed infine l’inizio, di ritorno dagli Usa, della sua esperienza professionale, non come manager, ma come semplice operaio, nella fabbrica paterna.

Da questo duro apprendistato Olivetti maturò però una preziosa convinzione che lo guiderà negli futuri: occorre capire il nero di un lunedì nella vita di un operaio. Altrimenti non si può fare il mestiere di manager, non si può dirigere se non si sa che cosa fanno gli altri.'

Da qui un altro principio guida: se la fabbrica chiede tanto ai suoi operai, in termini di intelligenza, fatica, vincoli sul lavoro, orari della vita quotidiana, organizzazione familiare, spostamenti, modifiche del territorio ed è consapevole di chiedere tanto, ha il dovere di restituire molto.

Alti salari, case per i dipendenti, scuole, biblioteche, ambulatori, asili, colonie estive, servizi sociali, mostre d’arte e soprattutto luoghi di lavoro concepiti per il benessere di chi vi operava furono le forme avveniristiche per gli anni in cui maturarono, e che oggi sembrano inimmaginabili.

Era il modello Olivetti, cioè un’impresa radicata nella comunità e nel territorio, eppure aperta al futuro.

Adriano Olivetti ebbe, infatti, un altro grande merito- sottolinea il prof Sciarelli- quello di aver saputo coniugare la responsabilità sociale con l’ innovazione, considerata un’assoluta priorità al punto di avere circa 1.500 addetti ad attività definibili in complesso come ricerca, sviluppo e progettazione, su una forza lavoro totale che in Italia superava di poco i 14.000 addetti.

Inoltre aveva rapporti con varie università italiane, a partire da quella di Pisa, e centri di ricerca negli Stati Uniti.

Sin dai primi anni ‘50 a Ivrea Olivetti coltivò l’idea di produrre calcolatrici elettroniche, consapevole, come avrebbe poi dichiarato ad una folla di lavoratori delle officine di Ivrea alla vigilia di natale del 1955 che l’elettronica rapidamente avrebbe condizionato “nel bene e nel male l’ansia di progresso della civiltà di oggi”.

L’annuncio si riferiva ai rapporti che erano stati stabiliti in primavera con l’Università di Pisa e che avrebbero portato alla produzione di Olivetti Elea 9001, una prima versione di quello che andrà sul mercato con la sigla 9003 e che costituì uno dei primi grandi computer commerciali interamente progettati e costruiti in Europa.

Presentato a Milano al Presidente della Repubblica Giovanni Gronchi, Olivetti, anche in quella occasione, nel sottolineare il nodo strettissimo per lui tra impresa innovatrice e impresa responsabile, ebbe a dichiarare: “Con la realizzazione dell’Elea la nostra Società non estende semplicemente la sua tradizionale produzione a un nuovo settore di vastissime possibilità, ma tocca una meta in cui direttamente si invera quello che penso sia l’inalienabile, più alto fine che un’industria deve porsi, di operare cioè non soltanto per l’affermazione del proprio nome e del proprio lavoro, ma per il progresso comune – economico, sociale, etico della collettività”.

Una morte prematura, che lo colse sul treno che lo portava in Svizzera a soli 59 anni, pose fine ad un’esperienza unica non solo nel panorama italiano, ma anche internazionale.

Dopo di lui altre tragiche fatalità, l’insipienza soprattutto di alcuni manager e politici ed errate strategie dei dirigenti Ivrea fecero il resto.

Un caldo e prolungato applauso ha accompagnato la fine di una relazione tanto puntuale quanto appassionata dando inizio ad un vivace dibattito a più voci in cui si sono mescolate le riflessioni dei soci più maturi con le gli interrogativi e le perplessità dei giovani rotaractiani, suggeriti dai tempi bui che siamo chiamati a vivere.

Eppure, nonostante la diversità delle opinioni, qualcosa di quella esperienza unica ed irrepetibile è rimasto dentro tutti noi: che un’altra via è possibile ed è la via della responsabilità sociale, dello sviluppo eticamente sostenibile.

Vivere e lavorare per essere, appunto, comunità.
28/10/2014
RICERCA ARTICOLI